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Vincenzo, lo chef irpino che cucina per i petrolieri del Kazakistan

“Italian meals it isn’t food just, but it’s a real philosophy of life”. La sua pagina Facebook recita così e già la dice lunga sulla passione per la cucina di Vincenzo Squarciafico, chef nato a Lioni 36 anni fa e diventato famoso nei ristoranti di Russia e Asia. Partito dall’Italia nel 2005 per imparare l’inglese in Gran Bretagna, ha servito i paccheri di Gragnano anche ai divi di Hollywood e oggi vive in Kazakistan dove i suoi piatti deliziano i petrolieri.

In quali città e ristoranti hai lavorato negli ultimi quindici anni?
Sono stato un anno in Inghilterra al Royal Clarence hotel di Exeter, una città nella regione di Devon poco lontano da Bristol: era un albergo storico, bellissimo, con lo chef bistellato e cucina francese. Nella primavera del 2006 mi sono trasferito in Russia, a San Pietroburgo, grazie allo chef irpino e mio amico Antonio Pisaniello. Avevo in mente di stare lì soltanto un anno, sono diventati 15, trascorsi lavorando come chef in ristoranti e alberghi importanti, in location come la piazza Dvorzivaja del Palazzo d’inverno che ospita il museo Hermitage, poi al Corinthia Nevskij palace hotel, al Grand Hotel Europa dell’Orient Express (ora Belmond) e in un ristorante di co-proprietà dedicato alla pasta. Subito dopo, sono stato quattro anni a Mosca lavorando per il golf resort del ministero degli Esteri russo e al “Semifreddo” di Nino Graziano, chef stellato di Palermo. Poi ancora un anno in Crimea, a Yalta, per un importante resort da 1500 persone al giorno, dove ero il responsabile di sei ristoranti a tema diverso. Ho viaggiato tanto in Russia e in altri Paesi dell’Unione sovietica, da consulente chef, in città come Kiev, Yerevan, Odessa, Sochi, Novi Urengoi e Baku.

Attualmente dove ti trovi?
Attualmente sono a Atyrau, in Kazakistan. E’ una città con importanti giacimenti di petrolio e gas e io sono l’executive chef di una residenza e una catena di sei caffetterie, nelle quali si può anche pranzare, mangiare snack o pasticceria.

La tua cucina italiana all’estero subisce le influenze del posto o proponi la tradizione?
La cucina italiana all’estero, purtroppo, subisce sempre delle variazioni di gusto. Ma, con grande soddisfazione, posso dire che nel mio caso questo non avviene. Sono molto determinato su questo aspetto, ne faccio una questione “politica”.

Quanto c’è dell’enogastronomia d’Irpinia nei tuoi piatti? E hai rapporti con aziende locali per la fornitura di prodotti?
L’Irpinia nei miei piatti è presente in piccola percentuale. Però con elementi unici, singolari, come la maccaronara che di solito servo con il ragù classico. La propongo al posto della semplice pasta al pomodoro o alla Bolognese. Con le aziende della nostra terra non ho molti rapporti, ma lo stesso vale per i prodotti italiani in generale. Non è semplice per loro inserirsi nel mercato e agganciare il buyer giusto, poi discorso a parte è quello dei dazi.

Essere così apprezzato all’estero rafforza il tuo orgoglio di essere italiano o invece è motivo di tristezza perché in Italia non hai trovato spazio?
Mi provoca entrambi i sentimenti. L’argomento è diventato di attualità soprattutto negli ultimi anni. Il pensiero di tornare c’è sempre, ma per adesso all’estero la situazione economica, e non solo quella, è migliore.

Ogni quanto torni in Irpinia?
Cerco di farlo ogni sei mesi, è importante non perdere il feeling con la nostra terra d’origine. Altro pilastro della mia vita è poi la famiglia.

Ti informi su quello che accade da queste parti? Come ci vedi da lì? 
Sono sempre abbastanza aggiornato sulla politica e l’attualità locali. Sono un’ottimista per natura, ma a essere sincero non vedo grosse svolte per il momento. Spero tantissimo di sbagliarmi.

Cosa pensi delle strutture ricettive della nostra provincia?
Sono cresciute molto e vedo che si continua ad investire nel settore, è molto bello veder crescere il proprio territorio. Non abbiamo niente da inventare, ma solo da lavorare ed essere stabili… Ma quest’ultima caratteristica so che difficilmente si trova in tutti gli italiani.

Oggi studiare cucina è di moda, anche grazie alla Tv. Tu ti sei formato dell’alberghiero di Roccaraso circa venti anni fa, quando fare il cuoco era ancora un lavoro “normale”. Pensi che la popolarità di questa professione le stia facendo perdere qualità?
La Tv ha contribuito tanto alla crescita della cultura culinaria, forse anche troppo con i reality che dagli Stati Uniti sono arrivati anche qui nei primi anni nel nuovo millennio.

E questo oggi fa sì che ci siano troppi cuochi e quindi sia più difficile per un giovane guadagnare bene?
Sì, penso che si sia un po’ esagerato. Molti ragazzi pensano che ha 22-25 anni si possa diventare chef stellati, al 99% non è cosi.

Ti vedremo un giorno giudice di MasterChef e dintorni?
Non so: tutto è possibile, vedremo…

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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