Sopravvivere alla crisi e costruirsi delle possibilità che per adesso appaiono abbastanza vaghe. E’ questa la difficile missione per Senerchia e Calabritto, paesi della valle del Sele che guardano da sempre, e ora ancora di più, a Salerno.
Senerchia e Calabritto, e in mezzo il borgo di Quaglietta nel secondo Comune ma con un’isola amministrativa, un condominio, i cui inquilini votano nel primo. Paesi di confine, con due piccoli “capoluoghi” di riferimento. Caposele da una parte, qui ci sono le scuole e c’è la risorsa acqua che ancora non si capisce come possa dare sviluppo reale a queste aree. Dall’altra Contursi, provincia di Salerno. Contursi e i suoi impianti termali, con un flusso fortissimo di visitatori. Con l’Istituto professionale tra moda e idraulica.
La foto è tratta da www.comune.senerchia.av.it
Senerchia e Calabritto hanno la montagna e i boschi alle spalle, di fronte i paesi del Salernitano. “Forse solo con questi è possibile fare rete per creare dei percorsi turistici”, dicono davanti al bar i ragazzi di Senerchia. Qualcuno, come i nostri interlocutori Claudio e Stefano, insiste sulle possibilità per l’artigianato. Ma non ci convincono del tutto. Le tradizioni sono radicate ma non c’è un prodotto forte da poter esibire o esportare. E allora chiediamo perché non si possa puntare seriamente su sport, benessere, turismo. E loro rispondono che sarebbe l’ideale, ma serve un lavoro immane con le realtà confinanti. La vicinanza con Contursi può essere un’opportunità e del resto già si era pensato a un Pip intercomunale (parlando solo di sinergie). E poi c’è l’oasi a Senerchia, un paradiso che quantomeno fa registrare un pareggio di bilancio tra entrate e uscite. E’ già qualcosa.
E’ positivo che moltissimi ragazzi, da queste parti, continuino a scegliere Salerno e Napoli per il percorso universitario. Almeno nei fine settimana si torna e il legame con il luogo d’origine non si spezza. Sono due paesi piccoli ma qui non mancano fermenti culturali. L’anno scorso si è tenuta la prima edizione del Quaglietta Film Festival e c’è molta attenzione per le arti visive in generale.
Per il resto la vita scorre tranquilla, forse troppo tranquilla. I ragazzi fanno quindi la spola tra paesi e università, i 50enni sono quelli che si sono dovuti reinventare un lavoro con la crisi dell’industria. Alcuni ovviamente continuano a essere disoccupati. Non c’è più il flusso degli operai, prima i bar di Quaglietta erano aperti già alle 5 del mattino. E un’altra “mazzata” è arrivata dal blocco degli stipendi per i forestali che da queste parti servono molto e non sono pochi. Calabritto e Senerchia. Non si possono definire “paesi industriali”. Non lo erano allora, anche se le fabbriche davano un presente a molti. Ovviamente non lo sono ora.
Quindi? La partita sviluppo è davvero ardua da vincere. Le risorse sono tantissime ma tutte limitate. E’ il grande problema. Gli uliveti sorgono su microscopici appezzamenti, in pratica per un consumo domestico o poco più. Il tratto del Sele è poco profondo perché qualcuno possa attrezzarsi per gli sport acquatici come avviene sul Tanagro, poco lontano, e sullo stesso Sele nella parte salernitana. Non ci sono grosse produzioni per quanto riguarda l’agricoltura. Ma i luoghi conservano peculiarità di tipo gastronomico e una posizione geografica che fanno pensare all’agroindustria come possibile rilancio. Ma a chi guardare? Ai paesi irpini, lontani e nascosti dietro i monti? O a Valva, Colliano, Oliveto Citra e Contursi?
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Sessanta anni fa nella piazza di Calabritto si discuteva delle stesse cose. Non è facile uscire dal sottosviluppo e facilissimo ritornarci. Gli amministratori potrebbero fare una capatina in Sud Tirolo a chiedere consiglio su come si possono far fruttare le scarse risorse della montagna, magari gemellandosi a qualche paesetto locale. Comunque il segreto del Tirolo è grande senso comunitario, tanta partecipazione e niente egoismo.
Gentile Giulio, probabilmente non è facile importare modelli altrui. Però una cosa è certa: osservare e studiare quello che accade altrove è fondamentale per varie ragioni. Una su tutte: per capire che non siamo speciali e che la natura non basta.