Nel libro “Matria” di Generoso Picone ci sono gli ultimi anni dell’Irpinia. Ma in realtà i 23 articoli-racconti tracciano un quadro esaustivo di quattro decenni. Matria, come madre e come patria. “Termine duro come forse lo siamo tutti da queste parti”, spiega l’autore alla presentazione organizzata a Calitri nell’ambito dello Sponz Fest. “Matria. Avellino e l’Irpinia: un esame di coscienza”, edito da Mephite. E’ un taccuino di viaggio, con tutta la delicatezza e la profondità dell’osservatore. Che cerca anche nella letteratura, nella cultura, soprattutto qui, una spinta alla risoluzione dei problemi. Con la convinzione che molti dei personaggi descritti possano o debbano dare di più per questa provincia. E certamente può farlo anche l’autore, direttore della redazione avellinese del quotidiano Il Mattino. Gli intellettuali che si riunirono nel 1981 tentarono di costruire il laboratorio Irpinia. Risultati positivi e negativi.
E ora? Ora siamo a un punto decisivo. E nel dibattito Picone ne ha per tutti prima di arrivare alle possibili proposte concettuali.
Bersaglio principale diventa la città di Avellino, che non è punto di riferimento per la provincia. “No, non c’è reciprocità. Non esiste un rapporto con i paesi. In Irpinia c’è un territorio che guarda a Salerno, un altro a Benevento. Da queste parti si guarda alla Puglia. In ogni caso si guarda a qualcosa di diverso dall’esistente. Avellino città guarda solo se stessa. Ha l’orologio del tempo che è fermo, bloccato. Non ha voglia di essere ambiziosa. E soprattutto non ha voglia di essere città irpina. In città noto sempre più lo svilimento del senso di appartenenza”.
Ma anche i paesi che ora sembrano luccicanti, con gli addobbi delle feste estive, devono fare i conti con alcune distorsioni. Picone critica alcune rappresentazioni del medioevo che quasi diventano grottesche. “Preferisco appuntamenti culturali che aiutano a conoscere le origini, la storia. Ma quella vera”. Riflessioni d’attualità perché siamo sul finire degli eventi.
Poi però la critica generale alla provincia. “L’Irpinia vive troppo nell’emergenza e guarda troppe volte al passato, come se gli anni che hanno preceduto il terremoto fossero la felicità. Eravamo solo più giovani”.
E torna, come spesso accade, il dilemma di questi tempi. La costruzione dell’identità per i prossimi anni. La costruzione di un modello socio-economico. “Sicuramente – riflette Picone – non si può pensare di scommettere solo sul turismo o soltanto sulle infrastrutture. Bisogna tentare una coabitazione, un’integrazione. La scommessa può essere l’agroindustria. Nessuno può pensare di vivere di aria fresca e turismo. Così come nessuno può pensare di vivere bene in un grande distretto industriale”.
“Bisogna realizzare – conclude l’autore al tavolo con Alfonso Nannariello, Mario Salzarulo e Giuseppe Di Guglielmo – una nuova concezione dell’essere qui”.
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