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Iavarone Calitri, nel cimitero industriale il presidio continua

La grande insegna Iavarone è ben visibile dal cavalcavia dell’Ofantina. Calitri, contrada Isca, il fiume Ofanto a due passi e di fronte la stazione della Avellino-Rocchetta. L’ingresso all’area industriale è segnato da una serie di curve ampie, il tabellone Asi/Cgs è stato mangiato dalla ruggine. La Iavarone Legnami spa è una delle fabbriche segnalate peggio: si incontra un unico cartello e accorgersi di cosa indichi è una fatica. Tra un cadavere (quello della Cdi industrie tessili) e uno scheletro (quello della So.Co.Ge.), la prima è fallita mentre la seconda non è mai nata, c’è lo spazio occupato da Tommaso Iavarone e soci dagli anni Novanta. La produzione è ferma, dopo la lettera di licenziamento collettivo inviata a metà aprile ai sindacati, e dopo la convocazione dell’assemblea permanente. Da una settimana, con i cancelli chiusi alle loro spalle, gli operai si danno il cambio quotidianamente nella tenda bianca e blu allestita a presidio permanente dello stabilimento.

Stanno cuocendo gli spaghetti, intorno a mezzogiorno, quando arriviamo nell’area industriale per renderci conto di cosa stia realmente accadendo. Tutti i progetti sulla filiera legno, le interconnessioni tra il lavoro della Iavarone e delle altre aziende di legname del calitrano con il Progetto pilota, tutti gli annunci sull’imminente riconoscimento dell’unica Zes altirpina, sembrano lontani migliaia di chilometri ascoltando gli operai. “Avanziamo stipendi da marzo, ma tutti gli anni abbiamo avuto ritardi nei pagamenti. Solo che poi in primavera – dicono in coro – con l’arrivo delle commesse, ci venivano saldati. Questa volta non abbiamo notizie su quando saremo pagati, né sulle ferie. Quando è arrivata la lettera ai sindacati, stavano facendo lo straordinario. Non ce lo aspettavamo e soprattutto non senza un contatto diretto con noi”. 

In azienda, prima di quella comunicazione, soltanto due operai erano iscritti a organizzazioni sindacali. Ora lo hanno fatto tutti. Davanti ai cancelli sono in tredici: altri 6, gli impiegati, restano in ufficio. A rischiare il posto di lavoro, del resto, sono quasi tutti operai: nove andranno via. Una roulette russa. Vengono da Calitri, dalla vicina Conza, da Lacedonia, Bisaccia e Torella dei Lombardi. Qualcuno nasceva negli stessi anni in cui i primi operai mettevano piede per la prima volta in fabbrica. “Lavoriamo qui chi da cinque, chi da tredici, chi da quasi trent’anni – raccontano -. Tre quattro di noi sono prossimi al pensionamento, ma non ci aspettavamo questo trattamento anche perché abbiamo rinunciato in questi anni al Tfr, dando alla proprietà la possibilità di reinvestire”.

Non è una vertenza dai grandi numeri, quella calitrana, ma fa impressione attraversare un’area industriale che, salvo qualche eccezione, è un cimitero di aziende. Cui rischia di aggiungersi un altro morto, è questo il timore alla luce di un depotenziamento radicale della produzione che di fatto significherebbe agonia e chiusura. Martedì 21 in Prefettura ad Avellino, oltre ai sindacati, proveranno a fare scudo attorno ai dipendenti della Iavarone anche le istituzioni.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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