Alto Calore e Gesesa, fusione all’esame dei sindaci

Cinque punti per un piano industriale da attuare in 10 anni e che porterebbe ad un sostanziale cambiamento della gestione idrica. Salvaguardia dei livelli occupazionali di Acs ed Gesesa, gestione idrica fino al 2022, mantenimento delle strutture operative esistenti, ristrutturazione del debito attraverso il peso economico di Acea con le banche, efficientamento delle attività operative e manutentive, e 10 diversi interventi per tamponare le carenze idriche nei Comuni più vulnerabili.

 

Alto Calore e Gesesa hanno presentato, ieri, la loro proposta per tentare di accattivare i sindaci ed ottenerne il placet. Entro il 10 marzo, intanto, è attesa l’ assemblea dei soci dell’ Acs, durante il quale il responso dei sindaci dovrebbe palesarsi. Qualora l’esito della seduta dovesse essere a favore dell’ aggregazione, il presidente dell’Alto Calore, Lello De Stefano, otterrà il mandato di portarlo a termine entro l’anno, al fianco della dirigenza di Gesesa. «L’ aggregazione – spiega De Stefano – rappresenta una possibilità che porterebbe a semplificare la gestione sul territorio, eliminando sprechi e sovrastrutture, con vantaggi sulle tariffe e sugli investimenti. Se avremo il mandato proseguiremo».

Nulla, però, appare semplice. I primi cittadini si sono dimostrati perplessi rispetto a molti punti previsti dall’accordo, virando verso la possibilità di aggregarsi con il Sannio mentre, ovviamente, si continua a ragionare sull’opportunità di restare completamente pubblici. E’ su questa ipotesi che arrivano le avvertenze di De Stefano: «La gestione totalmente pubblica implica dei costi per i Comuni che noi abbiamo definito bene». L’esempio del numero uno dell’Acs, riguarda il comune di Avellino, socio maggiore con il 10 per cento delle quote. «La ricapitalizzazione riguarda 27 milioni di euro, cioè il conferimento della quota capitale. Il capoluogo, dunque, dovrebbe versare 2,7 milioni. Più gli investimenti: 30 milioni da divere tra tutti per il primo anno, secondo il piano ambito». Con delle conseguenze, ovviamente: «Ogni Comune può sacrificare welfare e manutenzione e mettere i soldi sull’acqua pubblica. In tal caso, noi lavoreremo su questa realtà».

 

E sulla questione debiti il presidente aggiunge: «Qualcuno confonde il conto economico, che ci vede in attivo di 158.000 euro, con lo stato patrimoniale, che ci vede indebitati per 118 milioni. I debiti aumenteranno: ci siamo caricati quelli della Patrimonio, abbiamo un decreto ingiuntivo da 18 milioni di Eni, 2 milioni per il fallimento della Mose ed ancora decreti di Enel, Abc ed Acquedotto pugliese. Una montagna di debiti per cui possiamo solo tentare di perequare le scadenze» .

Piero Ferrari, amministratore di Gesesa non si tira indietro e rivela: «Noi non siamo più bravi degli altri ma abbiamo delle idee ed una solidità che ci viene da un importante gruppo industriale. Acea non vuole mettere le mani sull’acqua irpina, perché l’acqua è demaniale. Ma un gruppo industriale, che in questo caso si chiama Acea, può usare i propri strumenti per dare l’acqua 24 ore su 24, ampliando il proprio business. Senza aumentare la tariffa».

 

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