Quanto il voto sia stato guidato da dinamiche nazionali e quanto da variabili locali, è difficile stabilirlo. Il centrosinistra esce con le ossa rotte dalla tornata elettorale e Renzi perde il secondo referendum su se stesso in poco meno di un anno e mezzo. La prima volta da Premier, la seconda “solo” da segretario di partito. Lo fa in tutta Italia e lo fa anche in Irpinia, che pure in passato aveva sempre rappresentato un luogo sicuro per il Pd. Addirittura il dato nazionale è migliore di quello irpino: 15,3% il provinciale contro poco meno del 19 della media del Paese.
La campagna mediatica e le inchieste sulla Boschi e il padre dell’ex sindaco di Firenze, il caos banche, la Buona scuola: tre degli argomenti a totale detrimento dei democratici. Questioni che hanno sicuramente indirizzato il voto anche nella nostra provincia, dove però il popolo del Partito Democratico ha pure mal digerito le candidature per il troppo spazio concesso ad alleati dai cognomi importanti (ai quali sono stati lasciati entrambi i collegi uninominali della Camera). Senza dimenticare che, in Irpinia e in Campania, molto hanno contributo a determinare anche le vicende che hanno preso corpo e forma lungo l’asse Napoli-Avellino e tra stanze di Procure e redazioni di giornali. Il riferimento è all’inchiesta Aias e a quella di Fanpage.
Se tutto ciò vale a livello generale, va pure sottolineato lo scarso contributo alla causa portato dalla coalizione nata attorno al Pd. Civica Popolare, il soggetto in cui si ritrovavano i De Mita, si è fermato al di sotto dei dati delle ultime Regionali, ma pure al di sotto di quelli delle Politiche di cinque anni fa, quando l’Udc si era presentato agli elettori senza spaccature. Nel collegio di Ariano-Alta Irpinia, dove era candidato Giuseppe De Mita, il partito della Lorenzin va poco oltre il 5% e scende intorno al 3% se si considera la provincia nel suo complesso. Lontanissimi dalla soglia di sbarramento a livello nazionale (da notare però che Casini a Bologna è stato eletto), lontani pure da quell’1% che avrebbe consentito quanto meno di portare acqua al Pd nel proporzionale. I voti ai demitiani insomma sono persi.
Voti non persi oggi. Voti persi in un triennio nel quale il centrosinistra nella composizione con la quale si è presentato alle urne, cioè Pd e demitiani appunto, si è infognato in una inconcludente e improduttiva battaglia sui diversi tavoli. A partire da quello del Progetto Pilota. Voti persi per la rottamazione attuata solo a metà, con l’effetto di imbarcare tutto e il contrario di tutto nella coalizione. Voti persi per effetto dei capicorrente, di circoli di partito tanto litigiosi quanto in grossa parte vuoti, detentori di tessere e scarsa partecipazione, di amministrazioni e amministratori comunali che non riescono più a orientare le scelte della gente perché il rapporto di fiducia con i cittadini si è incrinato, volente o nolente, anche a livello locale. Esemplare in questo senso l’esperienza avellinese, dove sindaco e maggioranza hanno dato uno spettacolo poco edificante per un quinquennio. Colpa di politiche anche regionali che tardano a essere concretamente efficaci. E, non va dimenticato, di decenni di politiche che in provincia di Avellino hanno ruotato in modo patriarcale attorno agli stessi nomi.
Non ha vinto nulla, però ha retto in relazione al dato nazionale il centrodestra. Ma Forza Italia incassa un 16% che sa di poco: cinque anni fa ottenne quasi il 21%. Sa di poco soprattutto se confrontato con il 4% di Fratelli d’Italia e con circa il 6% della Lega ed è frutto di una presenza sui territori coltivata poco e, probabilmente, pure della colpa di essersi ritrovati dalla stessa parte del Pd a Roma (leggasi Patto del Nazareno) per una grossa fetta della legislatura appena conclusa. Oltre 13mila irpini hanno votato il partito di Salvini.
Quasi sempre persino il fattore campo non ha giovato ai candidati. E’ successo nella Frigento di Luigi Famiglietti, nella Mercogliano di Massimiliano Carullo, nella Baiano di Pietro Foglia e nella Montefalcione di Angelo D’Agostino per la sfida della Camera. Ma pure quando si è vinto in casa propria, l’esempio in assoluto è quello di Nusco, non si è sfondato. Il vento ha soffiato ovunque in un’unica direzione, quella del partito di Luigi Di Maio.
Poco presenti nei paesi e nei paesini, poco organizzati, i cinquestelle vanno oltre il 40% in provincia di Avellino, come nel resto del Sud. Per loro dopo gli onori di queste ore, arriveranno gli oneri. La parabola renziana, dal 40% delle Europee del 2014 passando per il 40 a 60 per il No al referendum costituzionale fino al 18% di oggi, dimostra che i tempi sono cambiati. Il ventennio berlusconiano al confronto con la parentesi targata Renzi appare un’era geologica. Segno che oggi politiche e politici vengono fagocitati molto più rapidamente che in passato. E’ valso per il Pd e potrebbe valere, in assenza di risultati, per il Movimento Cinque Stelle.